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India del Nord giorno 18: il ritorno a casa fra cuore e pelle

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India del Nord giorno 18: il ritorno a casa fra cuore e pelle

Tornare dall’India è parte del viaggio: le emozioni non sono ancora sedimentate, le sensazioni sono ancora vivide, il cuore immagazzina ricordi perché è lì che vanno a depositarsi, “ricordo” contiene la parola cor, cordis, il cuore è testa e pancia, non è mai solo cuore.

Nel viaggio di ritorno l’India entra sottopelle, mi interpella, meglio mi interpelle. Ho con me il diario di carta che poi si trasformerà in questi post, ho con me le immagini, i profumi, gli odori, quel miscuglio incredibile di sublime e squallore, meraviglia e miseria, materia e spirito, bellezza e stupore e ancora stupore e ancora stupore.

In India scorro, sono nel flusso dell’accadere, mi do meno importanza perché è così palpabile che il mondo va avanti senza di me e le mie paturnie sono così piccole di fronte al mistero che lascia muti e mute e che risuona senza farsi afferrare. Dalla radice indoeuropea “mu-” che vuol dire stare con gli occhi e con la bocca chiusi deriverebbe anche la parola “mistero”, ciò che è inspiegabile o inaccessibile alla comprensione umana perché va oltre.

In aereo, tornando rifletto su quanto il mio viaggio abbia pesato sul mondo, quanto io abbia inquinato con gli spostamenti via terra e aerea, con le bottiglie di plastica bevute, con l’acqua consumata. Ringrazio e chiedo scusa allo stesso tempo per le impronte lasciate.

L’India non lascia mai come quando si arriva, semina, scolpisce, interpella, crea macerie e distrugge vecchi detriti, pulisce, confonde, va a scavare dove fa male e dove fa bene e crea domande che sono sempre più interessanti delle risposte.

Il primo giorno in treno ho detto “questa è la mia ultima volta in India, la sesta; oggi penso a quale parte di India posso visitare la prossima volta.

Grazie India, namastè, saluto il divino che è in te.

Grazie Ladakh, julee, julai, jullèè, grazie, grazie, grazie!